Cattedrale di S. Maria del Fiore
7 novembre 2021
Solennità della Dedicazione della Cattedrale
e Ordinazioni diaconali
nella Giornata diocesana per il Seminario
[1Re 8,22-23.27-30; Sal 94; 1Pt 4,7b-11; Gv 4,19-24]
OMELIA
«I cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!» (1Re 8,27): così prega Salomone quando inaugura il tempio che ha appena edificato. Ma proprio di questa casa Dio ha detto: «Lì porrò il mio nome!» (1Re 8,29). Il Dio d’Israele, il nostro Dio, non è lontano da noi, dalla nostra storia. Egli è il «Dio con noi» (Is 8,10; Mt 1,23) e la sua vicinanza alla condizione dell’uomo e alle sue vicende la esprime anche nel segno della presenza nello spazio: dapprima nei luoghi santi con cui i patriarchi di Israele marcano il loro cammino, poi nella tenda che accompagna il popolo nell’esodo dall’Egitto, quindi nel tempio santo di Gerusalemme, fino ai luoghi che la comunità cristiana, prima nelle case e poi in edifici pubblici, dedica alla preghiera e alla celebrazione dei misteri sacri. Segno di un Dio vicino e di una comunità che si edifica nella comunione è anche questa nostra cattedrale, che i nostri antichi vollero grande e bella per dire la loro fede, dandole forma con le loro risorse di arte e cultura.
Questa vicinanza non deve però essere confusa con un possesso, quasi che noi si possa presumere di disporre di Dio, così da farne un garante del nostro agire. Dio resta sempre al di là di ogni misura umana, egli trascende ogni nostro limite e rivela la nostra innata fragilità e povertà. Per quanto alta e vasta sia la nostra cupola essa non violerà mai il cielo di Dio; ne potrà essere un riflesso, ma mai potrà contenerlo. Per questo vanno accolte le parole di Gesù nel Vangelo: «Viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv 4,21). L’ora di cui parla Gesù è quella della sua Pasqua, quando il suo corpo immolato sulla croce e trasfigurato nella risurrezione diventa il luogo della presenza di Dio al mondo: La nostra adorazione è rivolta alla persona del Figlio di Dio fatto carne, in cui trascendenza e immanenza si fanno uno e Dio diventa presenza trascendente all’umanità.
Su questa tensione tra trascendenza e presenza si edifica la fede cristiana. È la consapevolezza di come Dio è oltre ogni possibile nostro pensiero ed esperienza, ma al tempo stesso di come Dio si è fatto vicino a noi, fino a diventare uno di noi, fino a rendere noi connaturali a lui. Questo fa sì che i discepoli di Gesù siano parte di questo mondo ma al tempo stesso siano testimoni di come esso è destinato a una meta che lo oltrepassa, vivendo nel mondo come «stranieri e pellegrini» (1Pt 2,11).
Di questa tensione tra il mondo e il cielo sono particolari testimoni quanti vengono rivestiti dell’Ordine sacro, il dono sacramentale che viene oggi comunicato a voi nuovi diaconi in cammino verso il sacerdozio, carissimi Alvaro, Febin, Marco e Stefano. Il ministero che vi viene conferito vi inserisce nel mistero stesso di Cristo, Servo del Signore, venuto a comunicare agli uomini il dono della salvezza, e nel contempo vi destina a mettervi al servizio di tutti come promotori della carità nel popolo di Dio. Da una parte legati a Cristo, dall’altra consegnati ai fratelli e alle sorelle, dovrete vivere in voi questa duplice appartenenza alla trascendenza divina e all’immanenza umana, senza tradire nessuna delle due e facendone sintesi in voi, con una vita in cui il dialogo con Dio dovrà intrecciarsi con l’ascolto dell’umanità.
«Imitatori di Cristo nel servizio del suo corpo che è la Chiesa» diremo di voi nella preghiera eucaristica per indicare la radice del vostro ministero. Ed è allora importante per voi considerare come Gesù nel Vangelo si presenti come colui in cui gli uomini possono adorare «il Padre in spirito e verità» (Gv 4,23). Solo Gesù, verità del Padre e comunicatore dello Spirito, ci apre alla piena e autentica adorazione di Dio, quella che ha il suo paradigma nel dono che Cristo fa di sé sulla croce e la sua espressione nella pratica del comandamento della carità. È quanto significa e produce l’Eucaristia, anche questa Eucaristia che stiamo celebrando. È questa l’immagine piena della Chiesa, di cui la nostra cattedrale è per noi segno, così che la tessitura delle pietre che la edificano ci richiami la comunione che dobbiamo coltivare per essere davvero famiglia dei figli di Dio.
Abbiamo bisogno di un ritorno sempre più coerente a Cristo e a lasciarci guidare da lui in un esercizio perfetto del dono di noi stessi a tutti. È l’orizzonte in cui si pone il servizio del nostro Seminario, di cui oggi celebriamo la Giornata, il servizio che esso svolge verso i giovani che si preparano al sacerdozio, che invochiamo dal Signore numerosi, soprattutto motivati, pronti a lasciarsi plasmare da lui.
Di questa comunione trasparente di Vangelo voi diaconi siete chiamati a farvi servitori, perché, ci ha ricordato l’apostolo Pietro: «ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio» (1Pt 4,10). Il ministero non è per voi, ma per i vostri fratelli e sorelle; esso va però custodito da ciascuno come un dono ricevuto e non come un traguardo raggiunto. Ciò che farete nel servizio che vi verrà richiesto lo farete «con l’energia ricevuta da Dio», e questo «perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 4,11). Sia la vostra vita trasparenza di Dio, rivelazione della sua trascendenza e del suo amore che si fa storia.
Una parola, per concludere, per collocare questa celebrazione nel contesto del Cammino sinodale. Esso vuole indirizzare la nostra Chiesa verso un atteggiamento di maggiore ascolto e più intensa partecipazione, al suo interno e verso l’esterno. Mentre ricordiamo come questo luogo sia stato dedicato a Dio, prendiamo coscienza che questa conversione della Chiesa a un sentire più comunionale e più missionario ha la sua radice in una dedicazione più profonda di noi stessi a Dio e al suo Spirito.
Giuseppe card. Betori