27-02-2009
SALUTO
L’occasione che ci riunisce stasera è il quarto anniversario della morte di Mario Luzi, il grande poeta fiorentino, che a Firenze è stato sempre profondamente legato. Un incontro, dunque, nel nome della poesia. Un incontro che si svolge in questo luogo carissimo ai fiorentini, il «mio bel San Giovanni» di Dante (Inf. 19, 17): il nostro Battistero, millenario testimone della nascita e rinascita alla fede di tanti uomini e donne.
La mia prima parola è di ringraziamento per tutti coloro che hanno ideato e preparato questa serata: Anna Mitrano, Presidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore; Maria Modesti, autrice del monologo che ascolteremo dedicato a Mario Luzi; il regista Fabio Battistini; l’attore Franco Graziosi; il Maestro Alfonso Fedi con il Coro del Duomo di Firenze e i Cantori di San Giovanni. Ci allieteranno con l’esecuzione di singolari laudi mariane, che ben si coniugano con lo spirito mariano della nostra città. Questa città iniziava il suo anno nel giorno dell’Annunciazione a Maria, il suo Duomo è dedicato a Maria e in essa, certo non casualmente, sono nati i Servi di Maria, i cui Sette Santi Fondatori abbiamo ricordato proprio pochi giorni fa.
1. Perché la poesia?
Proprio questa fu la domanda che il sindaco di Firenze Giorgio La Pira si poneva introducendo il secondo dei Convegni per la pace e la civiltà cristiana, celebrato a Firenze nel 1953, e che egli volle dedicare al tema Preghiera e poesia. Quei convegni furono davvero un progetto di straordinaria lucidità culturale e spirituale, e meriterebbe riscoprirne il valore non semplicemente simbolico, ma anche operativo.
Perché, dunque, si chiedeva La Pira, la preghiera e la poesia prima di necessità materiali immediate e improrogabili dell’uomo come il lavoro, la casa, l’assistenza, la dignità sociale, e così via? Una domanda che potremmo a pieno diritto far nostra oggi, nel pieno di una crisi economica e finanziaria che sta ridisegnando gli equilibri del nostro mondo. Perché, dunque, la poesia? La Pira rispondeva: «Vogliamo salvare la civiltà nostra dai pericoli che mortalmente la insidiano e la minacciano? Vogliamo contribuire al rinsaldamento di tutte le strutture del nostro edificio civile? Vogliamo collaborare veramente alla pace interna ed esterna tra i popoli e le nazioni? Bisogna cominciare da ciò che è più compromesso, più indebolito, pur essendo più essenziale e più determinante: cominciare dai valori finali, da quelli che danno orientazione e norma a tutti gli altri». E La Pira già intravedeva i frutti di questa riscoperta: «Le nostre città, fondate sulla preghiera e soffuse di poesia, tornano a essere fari luminosi che proiettano sulla storia futura fasci di nuova luce, di nuova bellezza e di nuova speranza». Non c’è chi non scorga la permanente attualità e forse pure la maggiore urgenza di tale prospettiva, in questi nostri giorni di umana povertà.
La poesia di Mario Luzi risponde nel modo più puntuale a questa prospettiva. Essa, infatti, è sempre stata profondamente e anche drammaticamente immersa nel crogiuolo della storia. Ne ha registrato le ferite interiori e anche civili. È stata e continua a essere il diario commovente e lucido di una vicenda di redenzione. Né va dimenticato che, proprio nella prospettiva cui faceva riferimento La Pira, Luzi è stato anche un fine lettore e interprete della letteratura contemporanea, e si è interrogato con grande penetrazione culturale e spirituale sul discorso poetico, andando alla ricerca delle sue ragioni più profonde e solide. E proprio lungo questo percorso, che ha trovato espressione nel suo libro di critica Discorso naturale, Luzi ha finito per riconoscere un singolare primato di vitalità proprio al pensiero della teologia cristiana del XX secolo. Pensiero religioso, preghiera e poesia, dunque, sono intimamente uniti e continuano a ricordarci le radici ultime dell’esistenza umana, originariamente e ultimamente orientata all’incontro con il mistero di Dio.
2. Un invito battesimale
Si inserisce qui il secondo riferimento che credo possa aiutarci a vivere nel giusto spirito questo momento di contemplazione e di elevazione. Nella poesia che Mario Luzi ha dedicato a S. Maria del Fiore, in quel gioiello poetico e spirituale che è Opus florentinum, ci sono alcuni versi che possono mettere a fuoco il genio di questo luogo, il Battistero di S. Giovanni.
«O veni saeculum, veni millennium, jubila.
Noi ti apriamo i cuori,
ti apriamo le porte, veni.
Quella che si dispone al rito festoso del ricominciamento,
figli, è una chiesa penitenziale».
Luzi pensava qui al millenario del Duomo, l’occasione per cui scrisse questi versi. Ma il ‘ricominciamento’ di cui parla può altrettanto legarsi alla realtà del Battesimo cristiano, che è nascita alla vita di Dio che illumina e redime la povertà della natura umana. Siamo all’inizio del tempo di Quaresima, e quello che Luzi suggeriva è davvero l’atteggiamento quaresimale per eccellenza, la capacità di riconoscere il nostro irrinunciabile bisogno di Dio. E non si tratta di un atteggiamento esclusivamente religioso, ma di un segreto proprio della vita umana in quanto tale, la quale fiorisce proprio lì dove è radicata nella feconda e serena coscienza del suo limite: un aspetto di cui il nostro tempo, spesso malato di una certa infondata presunzione, sembra avere particolarmente bisogno.
Così, tra preghiera e poesia, i versi con i quali Luzi ha dato voce a S. Maria del Fiore sono un appello per tutti noi, per riscoprire quell’umiltà della speranza che è davvero la porta di un possibile futuro, anche cristiano, del nostro tempo:
«Vorrei essere forte
di tutti i miei slanci e di tutti i miei peccati
di tutte le mie miserevoli omissioni
e delle mie tribolate penitenze
per accogliere con fede e con speranza
questo advena, questo sopravvenuto tempo.
[‘]
Abbiamo noi, chiesa cristiana,
nei secoli, negli sconvolgimenti
custodito il Verbo, trasmesso
integro il Vangelo,
ma non siamo qui soltanto
per commemorare
bensì per attuare.
Attuare sempre più preziosamente il Vangelo».
Che possa, questo, essere anche il nostro programma, come lo è stato per Mario Luzi. Attuare il Vangelo in modo sempre nuovo e fecondo, senza dubitare mai della sua forza di redenzione e di salvezza dell’uomo.
+ Giuseppe Betori
Arcivescovo di Firenze