Mercoledì delle Ceneri

[Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18]
25-02-2009


 1. «Ritornate al Signore vostro Dio, | perché egli è misericordioso e benigno, | tardo all’ira e ricco di benevolenza». L’invito del profeta giunge al nostro orecchio, ma fatica a farsi strada nel nostro cuore. Troppi ostacoli si frappongono alla nostra volontà. Il primo e il più radicale è che il volto stesso del Dio a cui occorre ritornare si è per noi offuscato e per non pochi addirittura del tutto smarrito. Se l’esortazione del profeta deve offrire l’orizzonte e il senso della nostra Quaresima, allora la prima domanda che dobbiamo farci è proprio questa: cosa possiamo e dobbiamo fare perché Dio torni a essere una presenza riconosciuta e viva dello scenario della nostra vita e degli orizzonti dell’umanità? Ricacciato sempre più ai margini della vita dell’uomo ‘ un uomo alla ricerca di una sempre più estesa autonomia ‘ l’immagine di Dio per molti si è dissolta, tra l’indifferenza dei più e il tragico grido di trionfo di chi lo considerava una scomoda e irritante presenza.


C’è chi nella morte di Dio ha pensato di scorgere la conquista della libertà dell’uomo, ma di fatto ha solo raggiunto la propria solitudine, perché senza Dio il mondo si è svelato un ambiente senza riferimenti in cui tutto è possibile, ma non è più certo cosa sia bene e cosa sia male. Con la scomparsa di Dio dall’orizzonte sociale e personale è scomparsa infatti anche la nozione di peccato, e se questo da alcuni viene interpretato come la sospirata fine dei tabù e dei limiti, di fatto a tutti si rivela come il presupposto di ogni arbitrio e l’impossibilità di una serena convivenza tra gli uomini. L’autonomia da molti rivendicata, anche in questa città, come un traguardo di libertà ‘ soprattutto sui fronti delicati della vita ‘ diventa di fatto l’espressione rovinosa della deriva individualistica della modernità e il venir meno del valore irrinunciabile della relazione, costitutivo della persona umana.


E il problema dell’oscuramento del volto di Dio non si pone soltanto nei riguardi delle varie forme di ateismo teorico e pratico, che si sono succedute nei nostri tempi e convivono in questi nostri giorni, ma vale anche per le inadeguate immagini di Dio che si insinuano tra i credenti. Solo infatti quando il volto di Dio prende le fattezze del Padre di Gesù Cristo, che per amore dell’uomo non è indietreggiato neanche davanti al sacrificio del suo stesso Figlio, possiamo allora dire di sapere quale deve essere la direzione del nostro ritorno e quale sia la natura del peccato da cui dobbiamo essere redenti. Questo per non dubitare della misericordia dell’uno, di Dio, e della gravità esistenziale dell’altro, il peccato.


 


2. Quanto ho detto ci aiuta a comprendere come il significato della quaresima non vada primariamente cercato nello spazio di una morale che separata da Dio diventa presto moralismo; e così viene peraltro percepita da quanti non si pongono di fronte al comandamento in un’ottica diversa da quella della fede. Il senso della quaresima è anzitutto teologico e la conversione che essa chiede, prima della vittoria su questa o quella perversione, è il nostro ritorno a Dio, alla fede in lui, da cui poi scaturisce l’obbedienza alla sua parola e quindi anche il farsi nuova della nostra vita.


Questo stesso richiamo alla centralità di Dio nella nostra esistenza emerge anche dalla pagina del vangelo, dove l’insegnamento di Gesù a riguardo delle opere della penitenza tende a ribaltarne l’orientamento dalla ostentazione esteriore di fronte agli uomini a una interiorità che è la cifra stessa del Padre, che vede appunto nel segreto dell’uomo, vale a dire entra in contatto diretto con il suo cuore. In quell’intimo di noi stessi, dove ogni apparenza svapora, non conta più il giudizio degli altri, la loro accettazione di noi, il plauso e il sostegno di qualcuno; in quell’intimo noi siamo messi a nudo ai nostri stessi occhi e la luce che può illuminare il nostro buio è soltanto Dio e la sua parola di perdono e di redenzione.


Non voglio con questo sminuire l’importanza delle opere quaresimali, quelle che Gesù accoglie dalla tradizione ebraica e ripropone in veste nuova, quella appunto dell’interiorità, ai suoi discepoli. Nel loro elementare significato ciascuna di esse ci riconduce a quella essenzialità del nostro essere che si oppone ai mille artifici del costume contemporaneo. Nella condivisione dei beni con i fratelli bisognosi, tramite il gesto dell’elemosina, si riassume tutta l’alternativa del vangelo di Gesù rispetto a un mondo avido di accumulo di beni e che fa del successo economico il metro di giudizio prevalente della riuscita di una vita. Ma l’uomo non è ciò che ha, e la condivisione ci aiuta a ritrovare la nostra vera misura e a liberarci dal troppo ingombro delle cose. L’invito alla preghiera a tu per tu con il Padre ci spinge al superamento delle troppe parole inutili che riempiono la nostra esistenza, per ritrovare le parole che contano, quella che ci ha creato e quelle che nell’amore rispondono all’amore che ci ha redento. Riscoprire nella preghiera la forza del silenzio e l’unicità di un dialogo depurato da ogni interesse perché dà spazio dell’assoluta gratuità, è la strada per ridare senso anche alle parole di tutti i giorni. L’appello al digiuno ci introduce a una più vera valutazione di ciò che conta nella vita e per la vita, contro la cultura del desiderio che di fatto genera una sempre più diffusa insoddisfazione. Liberarci dalla sudditanza ai desideri del corpo è un passo necessario per contrastare il culto del corpo che caratterizza la nostra società.


 


3. Non meno importante è che questo esercizio di ascesi, che vuole condurci alla verità su noi stessi e alla disponibilità all’incontro con l’amore del Padre, sia proposta in un tempo determinato, il tempo quaresimale, a cui possono ben applicarsi le parole di san Paolo sul «momento favorevole». Il secolarismo imperante ha pensato di togliere ogni differenza al tempo, nella illusione che un tempo sempre uguale fosse più accettabile per l’uomo. Ma sappiamo bene come ciò si sia tradotto in una desolante schiavitù, in cui la non distinzione tra tempo feriale e giorno di festa ha solo accresciuto la sottomissione dell’uomo ai ritmi disumani del lavoro e ai ritmi ancor più disumani del consumo, e ha favorito l’omologazione culturale. Sapere che non tutti i tempi sono uguali ci apre alla specificità dei significati e alla varietà dei progetti. Per il cammino della fede è importante che nel susseguirsi del tempo ordinario si inseriscano i giorni della quaresima, come spazio di conversione che ci prepara a gustare il dono grande della Pasqua, quando ci sarà illuminata, nel dono di sé di Gesù, la sorgente di quel rinnovamento della vita cui aspiriamo e a cui il tempo quaresimale ci educa. Nella prospettiva della Pasqua, la quaresima non appare come la sottrazione di qualcosa, un ennesimo ‘no’ detto ai desideri dell’uomo ‘ come accusano molti ‘, ma, al contrario, un pieno ‘sì’ alla vita e alla sua felicità, che scaturisce dal ‘sì’ di Dio all’umanità. Questo perché la quaresima ci orienta verso il volto d’amore del Padre, che ci dona il suo Figlio e ci svela nella nostra irriducibile identità di suoi figli.


A noi che abbiamo accolto l’invito del profeta: «Radunate il popolo, indite un’assemblea» è data oggi la possibilità di cogliere il significato e l’urgenza di questo tempo quaresimale, dal quale poter uscire con una più profonda coscienza di Dio e del suo appello a lasciarci riconciliare con lui mediante il suo Figlio Gesù. L’esortazione paolina, che è l’esortazione stessa di Cristo, risvegli la nostra mente e il nostro cuore, per un’adesione più piena al dono di salvezza che Dio ci fa. Rinnovati nel nostro spirito dalla sua misericordia, dalla nostra bocca a lui si innalza il nostro ringraziamento ne la nostra lode.


 


X Giuseppe Betori


Arcivescovo di Firenze