Giornata Mondiale delle Migrazioni

Messa della II domenica del t.o. ' anno B [1Sam 3,3b-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13c-15.17-20; Gv 1,35-42]
18-01-2009


 



1. La liturgia della parola di questa seconda domenica del tempo ordinario ruota tutta attorno all’esperienza della chiamata. Si tratta di un messaggio che ha certamente molto da dire a riguardo della vocazione di ciascuno di noi, come specifica chiamata a un servizio al Vangelo nella comunità e nel mondo. Eppure la dinamica chiamata-risposta, prima ancora, costituisce una chiave decisiva per comprendere il nostro accesso alla fede.


Credere è rispondere a una chiamata. Per ciascuno di noi c’è una notte di tenebre, che costituisce la condizione umana fondamentale, in cui risuona una voce finora sconosciuta, che non dice le parole usuali degli uomini, che non ci ripete discorsi ideologici oppure frasi falsamente consolatorie o illusoriamente emancipate. Questa voce ci chiama per nome, ci riconosce nella nostra identità: «Samuele, Samuele», ovvero ci rivela una identità nuova e ci instaura in un nuovo progetto di vita: «’Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa’, che significa Pietro». In questo riconoscimento personale si apre un dialogo di conoscenza e di amore: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta». Anzi, il dialogo si trasforma in comunione di vita: la presenza di Samuele nel tempio, la casa di Dio, acquista uno spessore nuovo, da inserviente del sommo sacerdote a profeta; i due discepoli che ascoltando il Battista, si mettono alla sequela di Gesù: «andarono e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui». Rimanere con Gesù può ben essere una bella definizione dell’esistenza cristiana e l’aspirazione più alta cui possiamo tendere come uomini.


Questa dinamica della fede è quanto è chiesto ancora oggi di riproporre alla Chiesa per gli uomini del nostro tempo, novello Battista che indica a tutti: «Ecco l’agnello di Dio!», ovvero novello Andrea che dice a suo fratello: «Abbiamo trovato il Messia». Questo annuncio la nostra Chiesa lo deve a tutti. In questa domenica in cui celebriamo la Giornata Mondiale delle Migrazioni questo va ricordato come il suo primo dovere nei confronti di quanti vivono il fenomeno della mobilità, per scelta ma più spesso per tragica necessità, alla ricerca di un sostentamento per la vita propria e della propria famiglia. Il dono che la Chiesa deve fare a tutti, a chi parte da questo Paese e a chi vi giunge, come pure a chi lo attraversa nel proprio peregrinare, è la proposta di questa voce di Dio che lo interpella e la chiamata di Gesù che lo invita alla comunione con lui. L’azione della Chiesa è sempre anzitutto un’azione di evangelizzazione, che si estende ovviamente a tutto l’uomo e si traduce quindi anche nella difesa della sua dignità personale e nel sostegno ai suoi bisogni materiali; ma tutto questo all’interno di una comunicazione della fede, che ne è il fondamento, l’ispirazione, il senso ultimo.


Annunciare Gesù Cristo a tutti come unico salvatore dell’umanità è il compito proprio della Chiesa. Qui deve concentrarsi tutto il suo sforzo pastorale nei confronti anche dei migranti. Dalla coerenza di questo annuncio discende poi che la Chiesa diventa difesa dei poveri e custode dei deboli, parola di verità e di giustizia sull’uomo e gesto di fraternità e di carità che difende e soccorre. Come ci ha insegnato san Paolo, infatti, nella comunione ecclesiale non si è più «né stranieri né ospiti», ma «concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). E la famiglia di Dio non è una famiglia chiusa in se stessa, ma espande intorno a sé quell’amore che la anima e che viene da Dio stesso, così che ogni uomo può ben essere detto mio fratello, titolare della mia stessa dignità, perché tutti figli dello stesso Padre.


Questo richiamo all’insegnamento paolino è particolarmente attuale in questo anno che il Santo Padre ha voluto fosse dedicato all’apostolo delle genti. E lo stesso Santo Padre, nel messaggio per la Giornata odierna, ci ricorda che san Paolo, «nato in una famiglia di ebrei emigrati a Tarso di Cilicia», si è fatto «autentico ‘missionario dei migranti’, migrante lui stesso e itinerante ambasciatore di Gesù Cristo, per invitare ogni persona a diventare, nel Figlio di Dio, ‘nuova creatura’ (2Cor 5,17)».


Possiamo concludere questa nostra riflessione sempre con le parole del Papa, che auspica «che ogni comunità cristiana possa nutrire il medesimo fervore apostolico di san Paolo», nella convinzione che nella nostra fede c’è un tesoro di amore e di umanità da comunicare, senza incertezze, a tutti, convinti che esso è la radice di una civiltà di libertà e di pacifica convivenza a cui non intendiamo rinunciare e che offriamo invece come contesto umano per tutti e a tutti chiediamo di riconoscere come casa comune. Al tempo stesso il Papa chiede che questa sorgente d’amore che è la fede cristiana ci spinga a «vivere in pienezza l’amore fraterno senza distinzioni di sorta e senza discriminazioni, nella convinzione che è nostro prossimo chiunque ha bisogno di noi e noi possiamo aiutarlo».


 


X Giuseppe Betori


Arcivescovo di Firenze