Festa della Presentazione del Signore

02-02-2024

Basilica di San Lorenzo

Festa della Presentazione del Signore

28a Giornata mondiale della vita consacrata

2 febbraio 2024

(Ml 3,1-4; Sal 23; Lc 2,22-40)

 

 

OMELIA

 

Le figure di Simeone e Anna ci mostrano, fin dagli inizi della narrazione evangelica, chi sono coloro che – toccati dalla presenza del Verbo fatto carne – riconosceranno in Gesù il Cristo: coloro che, come Simeone, attendono la consolazione (paráklēsis); coloro cioè che vivono così ardentemente l’attesa del compimento delle promesse di Dio da essere già in qualche modo toccati, in tale attesa, dalla presenza del Paraclito stesso, dello Spirito Santo. Quello Spirito di Dio che ha operato con fedeltà nella storia del Popolo Eletto e da cui si lasciano muovere i semplici, come Simeone e la profetessa Anna, che di questa storia di Alleanza di Dio custodiscono e vivono la memoria, tesi a riconoscere le sempre nuove “tracce” dell’efficace e operosa presenza del Signore tra le vicende della loro vita.

Comprendiamo, allora, perché in questa festa della Presentazione del Signore la Chiesa rende grazie in modo particolare per la chiamata di speciale consacrazione che il Signore vi ha rivolto e che voi vivete: il continuo rinnovarsi dell’attesa di Cristo, come del suo riconoscimento dentro le circostanze quotidiane è infatti il cuore profondo della vocazione cui siete stati chiamati. Solo coloro che in semplicità di cuore attendono la consolazione vera per la vita, oggi come duemila anni fa, “hanno occhi” per riconoscere la presenza dell’Emmanuele, il Dio con noi.

Al tempo di Gesù non furono, infatti, né i potenti occupanti romani, né i sacerdoti custodi del culto e nemmeno i farisei dediti alla legge, a riconoscere il Signore presente in mezzo al suo popolo. Furono, piuttosto, i piccoli (‘anawîm) che sperimentando nelle loro esistenze il bisogno reale di una consolazione, poterono riconoscere e accogliere il Salvatore. Quegli uomini e donne che, come Maria, Giuseppe, Elisabetta e gli stessi Simeone e Anna, non esitano a lasciar risuonare in loro tutta la grandezza delle promesse fatte da Dio nei secoli al suo popolo, così come tutta la profondità delle loro umane attese. In questo modo essi possono intercettare e riconoscere, nell’altrettanto “piccola” presenza del bambino Gesù, la «luce» e la «gloria» della presenza stessa di Dio, di colui che solo può imprimere alla vita un orizzonte del tutto nuovo e liberato.

L’entusiasmo di Simeone per questo irrompere di Dio nella sua vita è tale che – come ha notato il Papa Benedetto XVI – per lui in quel momento «vivere e morire sono la stessa cosa» (Benedetto XVI, Giornata della vita consacrata, 2 febbraio 2006): «Ora puoi lasciare o Signore che il tuo servo vada in pace…perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza». Attesa e riconoscimento trovano così compimento in questa gratitudine commossa, nella quale viene sperimentata l’efficace compagnia di Dio ai bisogni, le ferite, le speranze della nostra vita. Di tutto questo la Chiesa, come madre sapiente, ci invita ad accorgerci in ogni nostra preghiera serale; affinché a coronamento delle nostre giornate, non manchi mai la gratitudine per quei segni concreti della presenza di Cristo nelle nostre vite. Quei segni per i quali anche noi possiamo dire che i nostri occhi «hanno visto» la sua salvezza, il «compimento» non solo delle antiche promesse, ma di tutta la profondità di domanda che il Signore Dio ha posto nel cuore di ogni uomo.

Anche oggi, infatti, questa presenza reale ed efficace di Dio, ci raggiunge attraverso la santità della Chiesa: nel rinnovarsi continuo delle grazie sacramentali; nell’inesauribile tesoro della parola di Dio; e attraverso tutti quegli uomini e donne che hanno scoperto in Cristo – e non nei loro progetti o idee – la verità della loro stessa umanità (GS, 22). Sono questi i “piccoli” e “grandi” santi, coloro i quali invocando sempre nuovamente, come noi oggi, «Vieni, Signore, nel tuo tempio santo» (Rit., Sal 23), hanno scoperto di essere loro, con tutta la loro umanità, quel “tempio” che il Signore vuole abitare e così rendere santo comunicando la sua stessa vita, il suo Spirito.

Comprendiamo allora perché Sant’Ambrogio consacrando proprio questa nostra Basilica di San Lorenzo, ha potuto indicare nella verginità il nuovo martiro, il quotidiano martirio (cfr. De verginitate). Esauritesi infatti le violente persecuzioni contro i cristiani, emergeva con nuova chiarezza tutta la luminosità di testimonianza di questa totale e intima consacrazione di sé a Cristo, risposta al Signore che per primo si dona a noi. È lasciandovi con-muovere, come Simeone e Anna, da tutta la bellezza dell’avvenimento di Cristo presente che avete abbracciato in letizia la vostra speciale vocazione; ed è proprio questo vostro continuo lasciarvi attrarre da lui il vero grande contributo che con il vostro personale “eccomi” date al santo fedele popolo di Dio. Il martirio quotidiano, che in questa basilica Sant’Ambrogio chiama verginità, altro non è che desiderare una familiarità sempre più piena con la vita stessa di Cristo: il desiderio quotidiano che “secondo la Sua volontà” si compia in noi la promessa del nostro Battesimo, la piena conformazione a Lui.

Con il rinnovarsi quotidiano del vostro “eccomi” voi ricordate agli uomini e alle donne che incontrate la vera e profonda natura di tutte le loro attese, indicando loro con le vostre stesse vite, quello che ogni uomo anche in modo incoffessato attende, la pienezza della vita come comunione con Dio, essere cioè «concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2, 19). Solo chi ogni giorno, come Simeone e Anna, è disposto a “patire” tutto il suo bisogno, la sua attesa, potrà altrettanto quotidianamente vivere la commozione e l’entusiasmo per il sempre nuovo farcisi incontro di Cristo, per il suo – per dirlo con Papa Francesco – “primerearci” in tutti i luoghi dove, proprio così, ci chiama a essere la Sua stessa presenza.

È suscitando questo stupore grato e commosso che oggi come duemila anni fa il Signore presente attrae a sé gli uomini e le donne di ogni tempo e dona salvezza a una storia che rimarrebbe altrimenti tragicamente in balia solo delle nostre piccole possibilità. Come ricordava Benedetto XVI – «La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che – come la Vergine Maria – accolgono la parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi» (Benedetto XVI PP, Saluto di congedo ai Signori Cardinali, 28 febbraio 2013).

 

Giuseppe card. Betori

Arcivescovo di Firenze