Basilica di San Lorenzo
Festa del B. Pietro Pattarini da Imola
Celebrazzione eucaristica con il Sovrano Militare Ordine di Malta
9 ottobre 2021
(Mi 6,6-8; Sal 1; Lc 12,32-34)
OMELIA
Celebriamo oggi la memoria del Beato Pietro Pattarini da Imola, che ha illustrato con le sue virtù il Sovrano Militare Ordine di Malta, al tempo denominato di San Giovanni di Gerusalemme, di cui per un certo periodo fu anche Priore. Da lui riceviamo la testimonianza di un cristiano che è stato un dotto giurista, un uomo politico e poi un uomo dedito alla carità verso i poveri, un fedele militante nell’operosa testimonianza della fede nel governo dell’Ordine, per poi tornare all’umile servizio dei malati.
Vogliamo che questa testimonianza, che gli ha meritato il riconoscimento di Beato, penetri la nostra mente e il nostro cuore attraverso la parola di Dio che ci è stata consegnata in questa celebrazione.
Il profeta Michea ci ha richiamati a un culto a Dio che risplenda nella sua autenticità. Sono parole che si collocano nel contesto di una contesa tra Dio e il suo popolo, in cui emerge la realtà di un’alleanza infranta, che è in attesa di essere ripristinata. La contesa, in cui il profeta si fa portavoce delle ragioni di Dio, si svolge al cospetto del creato: «Ascoltate dunque ciò che dice il Signore: “Su, illustra la tua causa ai monti e i colli ascoltino la tua voce!”. Ascoltate, o monti, il processo del Signore, o perenni fondamenta della terra, perché il Signore è in causa con il suo popolo, accusa Israele» (Mi 6,2).
Abbiamo così due prime indicazioni su cui meditare.
Anzitutto ci viene ricordato che la fede si colloca sul piano della relazione tra Dio e l’umanità, e poi per conseguenza degli uomini, sue creature, tra loro. Essa quindi chiede il coinvolgimento non solo dell’intelligenza o del cuore, ma di tutta la persona, nella sua realtà interiore e sociale.
Questa relazione ha poi un riflesso sul mondo, in positivo e in negativo. Ne siamo testimoni in questi tempi in cui la crisi antropologica si connette alla crisi ecologica.
Di questa centralità delle relazioni nella testimonianza della fede ci offre un esempio il nostro Beato Pietro Pattarini nella prima parte della sua vita, in cui lo si sa impegnato nel cercare di sanare le lacerazioni della società del suo tempo, adoperandosi per ricostruire un tessuto di pace nella sua città.
L’appello di Dio è profondamente accorato: «Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi» (Mi 6,3). Risuona in queste parole tutta la tenerezza di Dio, che non smette di amare anche quando viene tradito.
Il tentativo di risposta, con cui il fedele cerca di individuare le condizioni per cui gli sia possibile riallacciare il suo rapporto con Dio, lo abbiamo ascoltato ed è evidente la sua totale inadeguatezza.
A cominciare dal fatto che il ritorno a Dio non è posto sotto il segno dell’umile sottomissione, ma nella forma della prostrazione frutto dell’oppressione. Si comincia in modo inadeguato se si pensa che Dio sia un nostro oppressore, un tiranno e non invece un Padre a cui affidarsi.
Chi ha una tale immagine di Dio difficilmente riuscirà a cogliere il modo con cui corrispondere al suo amore. Di qui le proposte che il fedele fa e che appaiono subito mal concepite.
Lo è l’olocausto, il sacrificio in cui l’intera vittima viene bruciata, un gesto che vorrebbe essere di offerta generosa di qualcosa che ci appartiene, in specie se ha il valore di un giovane vitello. Ma non sono le cose che possediamo a poterci salvare.
Né è una soluzione puntare sulla quantità delle offerte, migliaia e migliaia, quasi che Dio si debba raggiungere in forza dei numeri e non del cuore.
Il culmine di questa religiosità inadeguata è rappresentato dal sacrificio umano, perché Dio è il Dio della vita e non della morte.
Non c’è sacrificio che l’uomo possa fare che sia in grado di espiare il peccato del popolo.
Il tentativo dell’uomo di giustificarsi davanti a Dio facendo qualcosa per lui naufraga di fronte al fatto che Dio non ha bisogno dell’uomo e dei suoi sacrifici. Altro è ciò che Dio si attende da noi.
Lo rivela la frase conclusiva del testo che abbiamo ascoltato, proclamazione indiretta della risposta di Dio agli interrogativi di Israele. Si tratta di un insegnamento circa la vita buona che Dio ha donato mediante la sua parola e che non va dimenticato. L’insegnamento è riassunto in tre affermazioni: «praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8). Il bene dell’uomo è agire in modo che nei suoi rapporti con gli altri si riflettano gli ideali dell’alleanza, questa è la giustizia, un mondo in cui si rispecchia il disegno di Dio. Poi occorre vivere in modo che la relazione con l’altro, Dio e il prossimo, vada oltre i confini del diritto e diventi vivere per l’altro, e farlo con la dedizione dell’amore. Il terzo imperativo offre della vita di fede un’immagine dinamica, quella di un cammino, cioè corrispondere agli interrogativi che la vita pone sempre di nuovo, vivendo questo legame con Dio con atteggiamento di umiltà.
Possiamo scorgere un’adesione a tale progetto di alleanza nel passaggio del B. Pietro dalla ricerca della pace sociale al servizio della carità.
Il messaggio del profeta non è il rifiuto del culto ma riconoscere la radice della religiosità nella fede come affidamento a Dio che trasforma l’agire umano come espressione della sua gloria. Così come il B. Pietro non rinuncia al suo servizio alla società passando dall’agire come giureconsulto a vivere la dedizione alla Chiesa nell’Ordine Ospitaliero, ma coglie nella carità il nucleo stesso del servizio ai fratelli.
La ragione di tutto ciò ci viene offerta dalle parole del vangelo di Luca. Ci viene riconfermato anzitutto che l’amore di Dio non ci abbandona. Non sono le nostre risorse numeriche o di potere a seminare il regno di Dio nella storia: il Regno è suo dono. Parole consolanti nelle condizioni tempestose in cui la Chiesa è gettata nel nostro tempo. Ma anche parole esigenti, perché il dono va accolto e custodito.
Gesù ne indica il modo quando ci invita a condividere ciò che abbiamo con i poveri, segno del nostri decentrarci da noi stessi per affidarci al Padre. Un traguardo proposto alla nostra adesione.