Consegna del Messaggio del Papa per la Giornata della Pace

Palazzo Vecchio ' Consiglio Comunale di Firenze
22-01-2009


 



 


Sono molto lieto di poter rinnovare anche quest’anno la felice tradizionale iniziativa della consegna a questo Consiglio Comunale del Messaggio che il Santo Padre invia in occasione della Giornata Mondiale della Pace, istituita 42 anni fa dal Servo di Dio Paolo VI. Sono profondamente grato al Signor Sindaco e al Consiglio Comunale per aver permesso anche quest’anno di poter dare rilievo istituzionale a tale atto, così che l’opinione pubblica della nostra città possa percepire quante importanti indicazioni per la crescita della vita civile possano scaturire dall’insegnamento di Benedetto XVI.


Prima però di entrare nel merito del Messaggio del Santo Padre, ritengo opportuno soffermarmi brevemente sul contesto in cui esso si inserisce. Esso rappresenta un vertice di quel dialogo tra Chiesa e società che è costitutivo della identità stessa della Chiesa e che appartiene alle pratiche più ricche delle società in cui il fattore religioso è visto come una risorsa a vantaggio dell’intera collettività, come accade presso quei popoli in cui la distinzione tra Stato e Chiesa non è vissuta in termini di estraneità o addirittura di conflittualità ma in quella di mutuo rispetto e cordiale collaborazione per il bene della società. È questa una prospettiva che ha contribuito alla crescita di grandi popoli ed oggi è richiamata come un’utile contributo a fronte della povertà etica in cui si dibattono molte società del nostro mondo.


La Chiesa non vuole invadere territori non suoi, ma sente suo dovere pronunciare una parola di verità su tutto ciò che riguarda l’uomo, la sua dignità, la sua vita, la convivenza sociale. Non è una parola costrittiva; essa al contrario si propone alla considerazione e al confronto argomentato secondo parametri di ragionevolezza. Sebbene infatti scaturisce per i credenti dalla luce che sulla realtà viene gettata dalla parola della rivelazione, viene proposta alla valutazione di tutti non in forza del suo valore religioso, ma come un contributo al confronto culturale e un dato su cui esercitare il giudizio della ragione e il raffronto dell’esperienza.


Mi vengono in soccorso in proposito le parole del Concilio Vaticano II nella costituzione Gaudium et spes: «La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana. La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L’uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna. Quanto alla Chiesa, fondata nell’amore del Redentore, essa contribuisce ad estendere il raggio d’azione della giustizia e dell’amore all’interno di ciascuna nazione e tra le nazioni. Predicando la verità evangelica e illuminando tutti i settori dell’attività umana con la sua dottrina e con la testimonianza resa dai cristiani, rispetta e promuove anche la libertà politica e la responsabilità dei cittadini. [‘] Sempre e dovunque, e con vera libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E farà questo utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e in armonia col bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni»(GS, 76).


La citazione è stata lunga, ma riesce a esprimere con termini appropriati il senso di questo intervento del Papa e la mia presenza tra voi. Quanto a questa mi sia lecito cogliere questa occasione per ringraziare in voi tutte le istituzioni e tutti i cittadini che mi hanno accolto in questa città con tanta stima, cordialità e affetto. Ritengo questa accoglienza non solo un segno di riguardo verso la mia persona ma un riconoscimento al ruolo positivo che l’intera comunità della Chiesa fiorentina ha svolto e continua a svolgere in questa città a vantaggio di tutti, come una radice di umanità e di coesione nella solidarietà.


””’


Il titolo che quest’anno il Santo Padre ha voluto dare al suo Messaggio è Combattere la povertà, costruire la pace, intendendo in tal modo sottolineare la connessione esistente tra la povertà e le contese che insanguinano il mondo. Tra povertà e guerra si instaura infatti un circolo che è lecito definire diabolico. «La povertà ‘ osserva, infatti, Benedetto XVI ‘ è tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati. A loro volta questi ultimi alimentano tragiche situazioni di povertà».


Ma ciò che in particolare contraddistingue le parole del Papa rispetto a precedenti interventi del Magistero pontificio sulla pace e sulla connessione tra guerra e povertà è lo specifico inquadramento del tema nel contesto della globalizzazione che caratterizza i nostri tempi. Porre in questa prospettiva il tema della povertà, comporta di ribaltare la logica di sfruttamento che regge per lo più la globalizzazione economica in un progetto di responsabile fraternità universale, riconoscendo nei popoli un’unica famiglia. Non si tratta quindi di rifiutare la crescita dei legami, culturali ed economici tra i popoli nel mondo, ma di non subirne la logica di sfruttamento che spesso li governa e indirizzarsi invece verso prospettive di solidarietà. Nell’attuale mondo globale «è sempre più evidente che si costruisce la pace solo se si assicura a tutti la possibilità di una crescita ragionevole: le distorsioni di sistemi ingiusti, prima o poi, presentano il conto a tutti», sottolinea Benedetto XVI.


Il Papa poi ci avverte che non esistono soltanto le povertà materiali, ma accanto ad esse, e con esse intrecciate, si sviluppano anche povertà immateriali, che producono emarginazione, miseria relazionale, morale e spirituale, che si manifestano anche nei paesi del benessere economico. Si tratta di un approccio al problema della povertà meno economicistico e più rispettoso della integralità della persona umana, che non ha bisogno di beni materiali più di quanto abbisogni di ricchezze spirituali, se è vera la parola del Poeta, secondo cui «fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza» (Divina Commedia, Inferno XVI, 118-120).


Nella riflessione del Santo Padre si individuano a questo punto cinque ambiti in cui emergono implicazioni morali cui dobbiamo rispondere nella nostra lotta alla povertà. Va anzitutto rifiutata la deriva malthusiana che vorrebbe attribuire la fame nel mondo al presunto eccessivo incremento del numero degli abitanti della terra, nella falsa presupposizione che le risorse di questa non siano capaci di rispondere alla crescita dell’umanità; così per sfamare tutti occorrerebbe diminuire gli ospiti della casa comune, con il ricorso a politiche di denatalità in cui si fa ampio uso dell’aborto. Si tratta per la Chiesa di un approccio ideologico al problema, che si scontra con il fatto che il mondo non manca di risorse, che vanno invece più equamente distribuite, e che lo sviluppo è anche legato al numero degli abitanti di una nazione, come ogni onesta teoria economica ben conosce.


Pure nella lotta contro le pandemie, prima fra tutte oggi l’AIDS, è falsa la strada che pensa di debellarle con il ricorso a interventi puramente estrinseci, senza implicazione della coscienza, soprattutto oltrepassando i confini dell’etica, in specie dell’etica sessuale, mentre è invece necessario agire congiuntamente sui fattori educativi e sulla disponibilità dei medicinali.


Occorre poi prendere coscienza che la povertà ricade con più forza sui soggetti più deboli, in specie i piccoli. E qui non si può non riconoscere che la migliore garanzia per i bambini è la saldezza delle famiglie e quindi il loro riconoscimento e sostegno. Ogni altro intervento a posteriori risulta di minore efficacia e di ben più alto prezzo. Anche in questo caso si tratta di superare divieti ideologici e riconoscere alla famiglia fondata sul matrimonio quei supporti che ne facilitano il ruolo nella catena generazionale.


Non va poi dimenticata la connessione tra disarmo e sviluppo, in un mondo in cui la corsa agli armamenti raggiunge livelli sempre più alti.


Infine il Papa mette il dito sulla piaga della speculazione economica che ha per oggetto i beni alimentari di base, mentre il divario tecnologico ricaccia sempre più indietro i popoli poveri.


La risposta a questi fronti critici per Benedetto XVI sta nell’affrontare l’era della globalizzazione con una più forte solidarietà globale tra paesi ricchi e paesi poveri, fondando la coesione su quei diritti dell’uomo che rappresentano un ‘codice etico comune’. Per i credenti in questi diritti si dà forma a quella legge naturale che, perché «scritta da Dio nella coscienza umana, è un denominatore comune di tutti gli uomini e di tutti i popoli». E qui occorre guardarsi che una nuova ondata di richiesta di cosiddetti diritti fondati sul desiderio non svuoti di fatto la cogenza dei diritti da riconoscere all’uomo in quanto uomo e non alle sue scelte individuali.


Una particolare esigenza di eticità il Papa richiede nei campi del commercio e della finanza, dove resta spesso ai margini la considerazione del bene comune, in nome di profitti immediati e a scapito dei più deboli.


Il problema della povertà emerge quindi non come un semplice problema economico, ma come un fronte su cui occorre esercitare attenzione giuridica, correttezza politica, cultura di partecipazione. «In particolare, ‘ afferma il Papa ‘ la società civile assume un ruolo cruciale in ogni processo di sviluppo, poiché lo sviluppo è essenzialmente un fenomeno culturale e la cultura nasce e si sviluppa nei luoghi del civile».


Rimettendo al centro la persona, con i suoi diritti, e le relazioni sociali più immediate, il Messaggio di Benedetto XVI avvicina il problema della pace alle condizioni e alla possibilità di ciascuno di ogni persona, rifiutando quella visione del problema che lo vorrebbe affidato solo alle responsabilità di chi governa gli Stati. Riflettere su questi temi mentre anche la nostra società, con tutte le società occidentali, si trova ad affrontare una possibile recessione economica, ci induce a riflettere sul fatto che in questo mondo globalizzato non ci si salva da soli: «Solo la stoltezza ‘ conclude il Papa ‘ può quindi indurre a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto o il degrado».


La solidarietà che combatte la povertà diventa un passaggio obbligato per chi aspira alla pace. E la strada che vi conduce è quella che fa spazio a Dio e alla dignità della persona umana, da lui creata a sua immagine. Quest’ultima considerazione si fonda su un presupposto di fede, ma il suo esito, il rispetto della dignità di ogni uomo, fa parte del tesoro intangibile della nostra civiltà, ed è pertanto offerto a tutti. Anche a questa città, a cui peraltro si rivolge pure l’interrogativo su cosa questa comunità civile può fare al suo interno e nel consesso dei popoli per rinnovare, tramite una specifica attenzione alle condizioni di povertà, quella sua connaturata vocazione alla pace che ne ha ispirato tante preziose esperienze, proprio partendo da questo luogo. Sono prospettive ed esortazioni che con fiducia affido a ciascuno di voi e ai cittadini tutti di Firenze.


 


+ Giuseppe Betori


Arcivescovo di Firenze