Santuario della Ss.ma Annunziata
25 marzo 2022
Solennità dell’Annunciazione del Signore
Capodanno fiorentino
[Is 7,10-14; 8,10c; Sal 39; Eb 10,4-10; Lc 1,26-38]
OMELIA
Dal medioevo fino al 1749, a Firenze l’anno civile non iniziava il 1° gennaio, ma il 25 marzo. Noi si prendeva come inizio del ciclo annuale del tempo il momento in cui il Figlio di Dio si è fatto carne nel seno di Maria e si esprimeva così la consapevolezza che i giorni dell’umanità sono segnati dal fatto impensabile di un Dio venuto a condividere la nostra condizione di creature. Lui, la Parola che tutto ha creato, si è fatto piccola creatura nel grembo di una fanciulla a Nazaret. Questo fatto, che unisce in modo inscindibile Dio e l’uomo, divenne il riferimento dell’identità di un popolo, quello fiorentino, la cui vocazione sta nel mostrare al mondo quali vertici di umanità possano raggiungersi quando la trascendenza viene accolta come il compimento ultimo del nostro essere.
Il senso e la grandezza dell’evento dell’incarnazione è bene espresso dalla lettera agli Ebrei: «Entrando nel mondo, Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato”» (Eb 10,5). La frase, messa in bocca a Cristo, rielabora parole che abbiamo pronunciato nel salmo responsoriale e segna il superamento di una religiosità che si esprime nelle cose che l’uomo può offrire a Dio, per aprirsi a una salvezza che viene incontro agli uomini nell’agire colmo d’amore con cui Dio si prende cura di noi.
Una nuova storia, un anno nuovo, un tempo di salvezza inizia quando è Dio a porgere un dono all’umanità, e non un dono qualsiasi, ma il corpo che egli tesse per il suo Figlio nel grembo di una donna, così che egli possa entrare nel tempo e nel mondo, e gli uomini possano incontrarlo e riconoscerlo.
Nell’incarnazione del Verbo la storia umana ha assunto un volto nuovo e in essa trova le radici di un continuo rinnovamento. Per questo motivo credere significa riconoscere la centralità di Cristo rispetto alla storia degli uomini e alla vita di ciascuno di noi.
In che modo Cristo si fa centro della storia e della vita lo mostra la lettera agli Ebrei, dicendo che il suo essere tra noi é offerta di sé nel compimento della volontà del Padre. Alla logica tutta umana che alterna la rapina e lo scambio, Gesù sostituisce la logica del dono, e del dono di sé, di quel suo corpo donato fino alla fine, fino ad essere appeso sopra una croce. Alla logica tutta umana dell’autonomia e dell’affermazione di sé, fino alla sopraffazione dell’altro, del desiderio e della cupidigia, Gesù sostituisce la logica dell’ubbidienza, della mitezza, dell’umiltà e del farsi piccolo: un piccolo essere umano che si lascia accogliere dal grembo di una donna, un piccolo seme di grano che accetta di essere sepolto nella terra per rinascere come vita nuova, piena di frutti di vita per tutti.
Questa logica dell’incarnazione diventa giudizio di condanna contro ogni prevaricazione, contro ogni violenza. Ci appare come luce che toglie ogni inganno a fronte della guerra scatenata in questi giorni contro la libertà e l’identità di un popolo, quello ucraino. Verso di esso va la nostra compassione e la condivisione degli ideali di democrazia e di dignità umana che esso rappresenta e che coraggiosamente difende a prezzo di tanta sofferenza. Chi ha responsabilità politiche e diplomatiche lavori per arrivare a una pace urgente e quanto mai necessaria per l’Ucraina e per tutti i popoli del mondo, anche per il popolo russo.
Facendo oggi memoria dell’inizio della vita umana del Figlio di Dio non possiamo non portare nel cuore e nella preghiera le vite umane che la guerra violentemente recide, in specie quelle dei bambini e quelle delle donne che portavano nel loro grembo una nuova vita.
In questa prospettiva l’incarnazione del Signore è richiamo al valore di ogni vita umana, in ogni suo momento e in ogni sua condizione, in specie quando essa è più fragile e meno protetta. Verso la vita umana occorre maturare, sempre e senza limitazioni, un atteggiamento di protezione e di cura. Lo abbiamo sempre detto nei riguardi della vita nascente e della vita nei suoi momenti finali. Per questo sentiamo di poterlo affermare per ogni persona minacciata dalla violenza, e penso in particolare ai minori abusati e alle donne violate, e al contempo per ogni persona, comunità e popolo schiacciati dalle guerre.
Di questo atteggiamento di cura è modello la Vergine Maria. Nell’offerta di sé, Maria si dona come strumento di edificazione di quel corpo umano di cui il Figlio di Dio ha bisogno per farsi come noi e vivere quindi per noi: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), sono le parole con cui Maria conclude il dialogo con l’angelo annunciante.
In questa offerta e in questa obbedienza l’umanità raggiunge il suo vertice, che la rende così vicina a Dio da farsi grembo per Dio. Ancora una volta sono messi in crisi i parametri correnti della riuscita della vita, tutti legati alle componenti di successo e di affermazione di sé. La Vergine annunziata ci dice invece che la radice della nostra verità e del nostro essere sta nell’essere protesi verso gli altri in un disegno di dono, perché ci si è anzitutto sentiti destinatari di un dono, la presenza di Dio, che ci ha fatto nuova la vita.
Per questo motivo ci affidiamo a Maria, e con il Papa tra poco affideremo a lei il mondo e in particolar modo i popoli nella guerra, perché i cuori si convertano al mistero della potenza umana del dono, che riavvicina gli uomini e semina fraternità dove l’odio ha tutto travolto. Alla protezione di Maria consegniamo il rinnovamento del mondo nella giustizia e nella pace.
Giuseppe card. Betori
Arcivescovo di Firenze