di Leonardo Chiarelli
La piccola chiesa di San Tommaso, in via della Pergola, è presto piena. Si respira il bisogno di pregare, di raccoglimento. È il 4 ottobre, San Francesco. Nella chiesa di San Tommaso la Comunità di SantEgidio accoglie con un canto la croce che entra dal fondo. I due legni sono di colore blu e rosso, il colore delle carene dei pescherecci, delle barche che arrivano a Lampedusa. Gli ultimi colori che migliaia di persone vedono con i piedi attaccati a terra, sulla spiaggia, e che rivedranno quando scenderanno dallaltra parte, o quando agitandosi in acqua, quei colori in pezzi, saranno lunico sostegno per restare aggrappati alla vita. È da quei legni che proviene quella croce.
Sullaltare la foto di una persona che si agita in acqua, stringe forte un salvagente, stringe la vita. Chi sopravvive tocca la nostra terra scalzo, nudo, spaventato, angosciato nel non vedere nelle vicinanze le persone care. I soccorritori. Le immagini nelle nostre case allora di cena. Dopo decenni ci domandiamo ancora chi siano tutte quelle persone che vengono dal mare. Ancora clandestini.
Il Vangelo ci apre le orecchie all immediata la soluzione «..ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi (…) In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lavete fatto a me». Ma vale per quei duecento, e quelli prima di loro chiamati e quelli che verranno dopo di loro chiamati clandestini? Basta dire clandestino per «togliere loro la dignità di avere un nome, avere un cognome, di avere una storia, di avere una geografia di provenienza di avere degli affetti. Questa tragedia ci restituisce per intero lo spessore della loro vita buttata in mare – con queste parole risponde la Comunità di santEgidio – non crediamo che ci si salvi ciascuno per conto suo, o che si debba gridare al si salvi chi può, ci si salva insieme, e nessuno ci è estraneo, meno che mai gli immigrati».
La conta dei morti supera i duecento a Lampedusa, ed è numero destinato a crescere. E tra di loro ci sono tutti. Ci sono i bambini che qui in Italia da poco hanno riiniziato la scuola, ci sono le madri che li accompagnano, ci sono i padri, i fratelli, e ci sono i ragazzi, quelli disoccupati ma pieni di sogni. Tra quei duecento, a Lampedusa, ci siamo tutti.